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OMICIDIO E AGGRAVANTE DELLA CRUDELTA'

Premeditazione e aggravante della crudeltà nell'omicidio - Presupposti -
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 marzo – 13 aprile 2015 


4. Il ricorso è fondato nei limiti che si passa ad esporre.
4.1 Infondato è, in particolare, il primo motivo di impugnazione.
Sulla censura di natura processuale ad esso affidata, giova richiamare la costante, reiterata e sempre
convergente lezione interpretativa di questa corte di legittimità, secondo cui, nel giudizio d'appello, la
rinnovazione del dibattimento, implicando una deroga alla presunzione di completezza
dell'indagine istruttoria svolta nel primo grado di giudizio, rappresenta un istituto di carattere
eccezionale. Ne consegue che l'art. 603, comma 1, c.p.p. non riconosce il carattere dell'obbligatorietà
all'esercizio del potere di rinnovazione da parte del giudice, anche quando è richiesta per assumere
nuove prove, ma subordina tale potere alla condizione rigorosa che egli non possa decidere allo
stato degli atti, nel senso che risulta indispensabile - ai fini della pronuncia - un
approfondimento probatorio (Cass., Sez. IV, 02/12/2009, n. 47095).
In riferimento particolare poi alla motivazione del rigetto della istanza istruttoria, ha avuto modo di
osservare il giudice di legittimità che esso si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura
argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fondi su elementi sufficienti per una
compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (Cass., Sez. VI, 21/05/2009, n. 40496). Non solo: per
Cass., Sez. II, 16/03/2005, n. 13489, in tema di rinnovazione in appello dell'istruzione dibattimentale, il
giudice, pur investito di specifica richiesta con i motivi di impugnazione, è tenuto a motivare solo nel
caso in cui a detta rinnovazione acceda. Infatti, in considerazione del più volte evocato principio di
presunzione di completezza dell'istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dar conto dell'uso
che va a fare del suo potere discrezionale conseguente alla convinzione maturata di non poter decidere
allo stato degli atti. Non così, viceversa, nell'ipotesi di rigetto, in quanto, in tal caso, la motivazione può
anche essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza d'appello, con la
quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti all'affermazione, o negazione, di responsabilità.
Pertanto, nell'ambito di tale quadro normativo e giurisprudenziale, deve essere valutata la censura mossa
dalla difesa alla sentenza del giudice dell'appello sotto il profilo del vizio della motivazione, riconducibile
alla fattispecie processuale di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), delibandola nel contesto della
ulteriore specificità data nel caso di specie dalla celebrazione del primo grado di giudizio nelle forme
del rito abbreviato, nel cui ambito, secondo comune insegnamento, la mera sollecitazione
probatoria non è idonea a far sorgere in capo all'istante quel diritto alla prova, al cui esercizio
ha rinunciato formulando la richiesta di rito alternativo (Cass. Sez. 5, n. 5931 del 7.12.2005 rv.
233845).
Ciò posto, va osservato che la motivazione della sentenza della Corte territoriale (da ritenersi integrata
della decisione di primo grado, attesa la conformità delle due decisioni) sul tema dell'invocato
accertamento peritale, non presenta alcuno dei vizi previsti dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) che
devono essere desumibili dal testo del provvedimento impugnato.
Nella decisione in scrutinio è stato infatti evidenziato che nulla, nel presente e nel passato esistenziale
dell'imputato giustificava un accertamento sulle sue capacità di intendere e di volere al momento del
fatto e che le stesse circostanze della vicenda in esame apparivano dimostrative di una piena sua
coscienza e consapevole volontà di agire, argomenti del tutto logici e coerenti con le regole processuali,
in nulla inficiati dal tentativo di suicidio posto in essere dal prevenuto né dagli atti di autolesionismo
verificati dal consulente del P.M., la cui possibile incidenza sulla capacità dell'imputato non risulta affatto
dimostrata.
4.2 Altresì infondato è il motivo di ricorso affidato dalla difesa ricorrente al secondo motivo di
impugnazione al fine di contestare la legittimità della riconosciuta aggravante della premeditazione.
Al riguardo è noto l'insegnamento di legittimità secondo cui elementi costitutivi della circostanza
aggravante in parola sono un apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito
criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa
l'opportunità del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa
perdurante senza soluzioni di continuità nell'animo dell'agente fino alla commissione del
crimine (elemento di natura ideologica) (Cass., Sez. Unite, 18/12/2008, n. 337).
Nel caso in esame hanno logicamente sostenuto i giudici di merito che la premeditazione dell'omicidio
risulta dimostrata da una serie di dati fattuali di essa sintomatici: innanzitutto il proposito da tempo
manifestato dall'imputato di uccidere la ex convivente e di uccidersi se non ripristinata la convivenza,
proposito riferito dalla madre della vittima e singolarmente, quanto tragicamente aderente ai fatti di
causa così come essi in seguito concretizzatisi; il movente dell'omicidio valorizzato dai giudici territoriali,
dato dalla mancata accettazione della volontà della donna di liberarsi da una convivenza divenuta
inaccettabile per la morbosa gelosia del compagno; le modalità dell'azione delittuosa, accuratamente
preparate e programmate nel tempo. L'imputato, già nel pomeriggio, aveva cercato, riuscendo
nell'intento, un incontro con la vittima, la quale, alla sua rinnovata richiesta di tornare insieme, aveva
opposto l'ennesimo rifiuto; il comportamento successivo del prevenuto appare dimostrativo, per i giudici
territoriali, di un progetto a lungo meditato e con cura preparato: dopo il rifiuto anzidetto, infatti,
l'imputato si è recato a casa di un amico dove si è cambiato di abito e si è armato di coltello, l'arma del
delitto, facendo poi ritorno nei pressi dell'autovettura della vittima; qui ha atteso la vittima
pazientemente per alcune ore, fino alle ventidue, orario di uscita dal luogo di lavoro; a questo punto ha
chiesto ed ottenuto di accompagnarla a prelevare il bimbo di due anni accudito da una baby sitter ed
all'ennesimo rifiuto della compagna, venuta meno la condizione alla quale aveva sottoposto il proposito
omicidiario, ha consumato il delitto, per quanto detto, a lungo meditato e preparato.
Orbene, in tema di premeditazione, la causale omicidiaria costituisce uno degli elementi dai
quali va desunta la sussistenza dell'aggravante (Cass., Sez. I, 04/12/2008, n. 2439) al pari della
predisposizione dei mezzi per l'attuazione del piano (Cass., Sez. I, 16/06/2005, n. 26793, Giampà)
alle quali nella fattispecie si deve aggiungere, per la rilevanza opportunamente data dalla corte
territoriale a tale fatto, le minacce di morte ripetutamente indirizzate dall'imputato alla vittima eppoi
realizzate nei profili con esse prefigurate (omicidio e suicidio contestuale ancorché tentato). Sul valore
della minaccia del fatto delittuoso come fatto sintomatico della premeditazione cfr. Cass., Sez. I,
25/01/1996, n. 1910, Bima.
Ricorrono pertanto nella specie i requisiti richiesti dalla norma per l'affermazione dell'aggravante in
discorso e del tutto logica si appalesa la motivazione sviluppata sul punto dalla corte territoriale, alla
quale la difesa ricorrente ha opposto censure generiche e comunque di merito.
4.3 Viceversa fondato giudica la corte il secondo motivo di doglianza là dove censura la motivazione
impugnata nella parte in cui riconosce a carico dell'imputato l'ulteriore aggravante della crudeltà.
Orbene, in materia è noto l'insegnamento costante del giudice di legittimità secondo cui la circostanza
aggravante di cui all'art. 61 n. 4 c.p. ricorre allorquando vengano inflitte alla vittima sofferenze che
esulano dal normale processo di causazione dell'evento, nel senso che occorre un "quid pluris"
rispetto all'esplicazione ordinaria dell'attività necessaria per la consumazione del reato, poiché
proprio la gratuità dei patimenti cagionati rende particolarmente riprovevole la condotta del reo,
rivelandone l'indole malvagia e l'insensibilità a ogni richiamo umanitario. In applicazione di tale
principio è stata pertanto negata la ricorrenza dell'aggravante in parola nella ipotesi dell'omicidio,
commesso in un impeto di gelosia, caratterizzato dalla mera reiterazione di colpi di coltello inferti alla
vittima e questo sul rilievo che tale reiterazione, essendo connessa alla natura del mezzo usato per
conseguire l'effetto delittuoso, non eccede i limiti della normalità causale e non trasmoda in una
manifestazione di efferatezza specie in considerazione del movente delittuoso (Cass., Sez. I, 06/10/2000,
n. 12083 Khalid, rv. 217346; nello stesso senso ed in fattispecie analoga: Cass., Sez. V, 17/01/2005, n.
5678, rv. 20745, secondo cui "Nel delitto di omicidio, la mera reiterazione di colpi inferti alla vittima non
è condotta rilevante ai fini della configurabilità della circostanza aggravante consistente nell'aver agito
con crudeltà, in quanto, essendo connessa alla natura del mezzo usato per conseguire l'effetto
delittuoso, non eccede i limiti della normalità causale e non trasmoda in una manifestazione di
efferatezza".
Orbene, del tutto analoga è la concreta fattispecie giudicata con la sentenza impugnata, caratterizzata da
undici fendenti portati per eseguire l'omicidio e non già per procurare una sofferenza aggiuntiva, peraltro
divenuta impossibile dappoiché accertato che le primissime coltellate avevano immediatamente cagionato
la morte della ragazza (Cass., sez. I, 21/10/2002, Botticelli, rv. 222519).
Del tutto eccentrico, rispetto alla questione giuridica in discussione, si appalesa infine il richiamo alla
presenza del bimbo di due anni.
È pur vero, infatti, che per Cass., Sez. I, 10/07/2002, n. 35187, Botticelli e altri, rv.222520, l'aggravante
in parola ricorre anche quando l'azione del colpevole sia indirizzata verso una o più persone diverse dalla
vittima del reato, che rimane però la destinataria della sofferenza.
Alla stregua delle esposte considerazioni non ricorre nella fattispecie, a carico dell'imputato, l'aggravante
di cui all'art. 61 c.p.p., co. 1, n. 4.
La sentenza impugnata va pertanto cassata sul punto, annullamento da deliberare senza rinvio giacché
comunque non incidente la eliminazione dell'aggravante detta sulla pena inflitta, attesa riconosciuta
legittimità dell'aggravante della premeditazione che comporta la pena dell’imputato e la ricorrenza,
altresì, di quella della minorata difesa non censurata dalla difesa.
4.4 Manifestamente infondato è infine il terzo motivo di impugnazione, incentrato sulla censura del
trattamento sanzionatorio ed in particolare sul diniego delle circostanze attenuanti generiche.
È noto al riguardo l'insegnamento di questo giudice di legittimità secondo cui, in tema di attenuanti
generiche, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di
consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione
prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del
fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di
detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo
all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni
possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che
necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale
emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del
trattamento sanzionatorio, trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente
motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta
all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del
rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti, tuttavia, la stretta necessità della
contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Cass.,
Sez. II, 22/02/2007, n. 8413; Cass., Sez. II, 02/12/2008, n. 2769) giacché il giudice non è tenuto a
prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che
egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione
delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (
Cass., Sez. II, 23/11/2005, n. 44322).
Ciò premesso ed in applicazione degli esposti principi deve concludersi che, ai fini dell'applicabilità o del
diniego delle circostanze attenuanti generiche, assolve all'obbligo della motivazione della sentenza il
riferimento ai precedenti penali dell'imputato, ritenuti di particolare rilievo come elementi concreti della
di lui personalità, non essendo affatto necessario che il giudice di merito compia una specifica disamina
di tutti gli elementi che possono consigliare o meno una particolare mitezza nell'irrogazione della pena
(Cass., Sez. V, 06/09/2002, n. 30284; Cass., Sez. II, 11/02/2010, n. 18158) ovvero, il che è lo stesso, alla
gravità della condotta giudicata.
Nel caso di specie la Corte ha dapprima illustrato le ragioni della doglianza e ad esse ha poi opposto la
motivazione di prime cure, ribadendo non solo la estrema gravità dei fatti, ma anche le modalità delle
condotte giudicate, giudicate di rilievo maggiore, per la decisione, dell'età dell'imputato e del suo stato di
incensuratezza, peraltro di per sé inidoneo, per disposizione normativa, a sostenere il riconoscimento del
beneficio.
Palese pertanto, in applicazione dei principi innanzi esposti, la manifesta infondatezza della censura in
esame, sia sotto il profilo del difetto di motivazione che della violazione di legge.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 marzo – 13 aprile 2015, n. 14998

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