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LOCAZIONI COMMERCIALI E MOROSITA' DEL CONDUTTORE

Locazioni commerciali, morosità del conduttore e clausola risolutiva espressa
- Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 gennaio – 20 aprile 2015 


1.1 Con il primo motivo l'impugnante lamenta violazione dell'art. 665 cod. proc. civ., nonché vizi
motivazionali.
Deduce che, già prima della notifica dell'atto di intimazione di sfratto, il conduttore aveva completamente
saldato la morosità relativa ai mesi di luglio e agosto 2008, il cui ritardato pagamento era dipeso
esclusivamente da circostanze non imputabili alla debitrice, essendo stato determinato da disguidi tecnici
nella trasmissione dei bonifici da parte della Banca Popolare di Cremona, incaricata di accreditare
mensilmente il canone dovuto al G. .
Ciò posto - e ricordato che in occasione della prima udienza di convalida lo stesso locatore aveva dato
atto della sanatoria della morosità - sostiene la ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto dal
giudice di merito, la pronuncia dell'ordinanza di rilascio, ex art. 665 cod. proc. civ. è preclusa in caso di
mancata persistenza della morosità.
1.2 Con il secondo mezzo si denuncia violazione degli artt. 1218 e 1176 cod. civ., con riferimento alla
ritenuta responsabilità della conduttrice per il ritardo nell'adempimento, senza considerare che
l'adozione di un mezzo di pagamento del canone diverso dal versamento di moneta avente corso legale
presso il domicilio del locatore, era stata pacificamente da questi tollerata, al pari del lieve ritardo nei
pagamenti mensili e della conseguente disponibilità giuridica delle somme dovute oltre il termine
contrattualmente previsto, sì da diventare una prassi regolatrice del rapporto.
1.3 Con il terzo motivo l'impugnante prospetta vizi motivazionali circa un fatto controverso e decisivo per
il giudizio, ex artt. 1218 e 1453 cod. civ.. Il giudice di merito, nel ritenere la società conduttrice
responsabile per inadempimento, non avrebbe valutato l'assenza di colpa in capo alla stessa per essere il
ritardo nell'accredito dei canoni dipeso esclusivamente da disguidi tecnici del sistema interno della Banca
Popolare di Cremona. Segnatamente in maniera affatto incomprensibile la Corte territoriale aveva
ritenuto insufficiente la prova documentale costituita dalla dichiarazione scritta rilasciata dal predetto
Istituto, lamentando l'assenza di una conferma testimoniale.
1.4 Con il quarto mezzo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1456 cod. civ..
Sostiene la ricorrente che, nella fattispecie, nonostante i ritardi accumulati dal conduttore nel pagamento
dei canoni, il locatore non aveva in alcun modo invocato la clausola risolutiva espressa di talché, sanata la
morosità, la clausola stessa era diventata inefficace. E tanto in applicazione della consolidata
giurisprudenza di legittimità per cui la dichiarazione di volersene avvalere, ex art. 1456, comma 2, cod.
civ., può essere resa, senza necessità di formule rituali, anche in maniera implicita, purché inequivocabile,
ma non può, in nessun caso, avere effetto se la controparte ha già adempiuto alle proprie obbligazioni
contrattuali.
2 Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente, per la loro evidente connessione, non
hanno pregio, per le ragioni che seguono.
Buona parte di quelle svolte nel primo mezzo contestano la sussistenza dei presupposti per la pronuncia
dell'ordinanza di rilascio, ex art. 655 cod. proc. civ., insistendo, al riguardo, sulla pacifica, avvenuta
sanatoria della morosità, mercé il versamento dei canoni impagati.
Trattasi tuttavia di censure inammissibili, perché l'ordinanza di rilascio ex art. 665 cod. proc. civ. - priva
dei caratteri della definitività e della decisorietà, in quanto non irrevocabile, né idonea a statuire, in via
definitiva, sui diritti e sulle eccezioni delle parti (confr. Cass. civ. 6 giugno 2014, n. 12846; Cass. civ. 19
giugno 2008, n. 16630) - non è impugnabile autonomamente, né è suscettibile di passare in giudicato,
tanto più laddove, come nella fattispecie, essa sia stata completamente assorbita dalla pronuncia di
risoluzione (confr. Cass. civ. 19 luglio 1996, n. 6522).
3 Tale rilievo è stato del resto formulato anche dal giudice di appello, allorché ha osservato che la
questione della insussistenza dei presupposti per l'emanazione dell'ordinanza ex art. 665 cod. proc. civ.,
era anzitutto irrilevante, considerato che, disposto il mutamento di rito, era stata pronunciata la
risoluzione del contratto, con condanna al rilascio.
Ed è significativo che la ricorrente ometta completamente di confrontarsi con tale passaggio
argomentativo della sentenza impugnata, idoneo a essere qualificato in termini di autonoma ratio
decidendi della scelta decisoria adottata, così incorrendo in un ulteriore profilo di inammissibilità (confr.
Cass. civ. sez. un. 29 marzo 2013, n. 7931).
4 Miglior sorte non hanno le ulteriori doglianze formulate dall’impugnante, il cui esame, per ragioni di
ordine logico, deve partire da quelle svolte nell'ultimo motivo.
I principi giuridici ivi richiamati, effettivamente conformi alla giurisprudenza di questa Corte (confr. Cass.
civ. 24 novembre 2010, n. 23824, in motivazione; Cass. civ. 22 ottobre 2004 n. 20595; Cass. civ. 18
giugno 1997 n. 5455; Cass. civ. 5 maggio 1995 n. 4911), non giovano tuttavia all'esponente, per le ragioni
che seguono.
E invero, con riguardo alle locazioni a uso commerciale, l'offerta o il pagamento del canone (che, se
effettuati dopo l'intimazione di sfratto, non consentono l'emissione, ai sensi dell'art. 665 cod. proc. civ.,
del provvedimento interinale di rilascio con riserva delle eccezioni, per l'insussistenza della persistente
morosità di cui all'art. 663, terzo comma, cod. proc. civ.), non comportano tuttavia l'inoperatività della
clausola risolutiva espressa, nel giudizio susseguente a cognizione piena, in quanto ad esse non si applica
la disciplina di cui all'art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392, in tema di termine di grazia, di talché, ai
sensi dell'art. 1453, terzo comma, cod. civ., dalla data della domanda volta allo scioglimento del vincolo -
che é quella già avanzata ex art. 657 cod. proc. civ. con l'intimazione di sfratto - il conduttore non può più
adempiere (confr. Cass. civ. 31 maggio 2010, n. 13248).
E invero il legislatore, nel dettare la disciplina di cui all'art. 55 innanzi menzionato, ha sì previsto che il
conduttore convenuto per la risoluzione del contratto possa evitarla pagando, nell'ultimo termine
consentitogli, tutto quanto da lui dovuto per canoni, oneri e accessori, ma ha escluso dalla sfera di
applicabilità della norma le locazioni a uso commerciale, come dimostra, in maniera invincibile, l'espresso
richiamo alle obbligazioni di cui all'articolo 5, dettato in tema di locazioni di immobili urbani adibiti a uso
abitativo, conseguentemente limitando a queste ultime la portata della disposizione (confr. Cass. civ. sez.
un. 28 aprile 1999, n. 272).
5 Tanto premesso e precisato in ordine alla compatibilità giuridica tra sanatoria della morosità e
attivazione della clausola risolutiva espressa, rileva il collegio che la contestazione volta a far valere che
in realtà non vi sarebbe mai stata, da parte del locatore, dichiarazione di volersi avvalere della stessa,
introduce una questione nuova, in quanto non trattata nella sentenza impugnata, nella quale il decidente,
senza menzionare eventuali sollecitazioni critiche formulate sul punto dalle parti, ha tout court esplicitato,
nella parte relativa allo svolgimento del processo, che il G. , dato atto dell'avvenuta sanatoria della
morosità, aveva tuttavia evidenziato che nel contratto era prevista una clausola risolutiva espressa in
caso di ritardato pagamento di due mensilità, contestualmente invocandola a sostegno della sua domanda
di risoluzione.
Ne deriva che la ricorrente avrebbe dovuto esplicitare, con il corredo deduttivo imposto dall'osservanza
del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che la questione della mancata attivazione
della clausola faceva già parte del thema decidendum del giudizio di appello (confr. Cass. civ. 18 ottobre
2013, n. 23675).
6 Quanto poi alle censure volte a infirmare la positiva valutazione dei presupposti della pronuncia di
risoluzione del contratto e del conseguente ordine di rilascio, le argomentazioni in ordine alla pretesa
esistenza di una prassi per cui il pagamento dei canoni avveniva abitualmente oltre il termine
pattiziamente fissato sono, a ben vedere, estremamente generiche, considerato che l'impugnante omette
finanche sia di allegare il margine di ritardo tollerato; sia di indicare gli elementi acquisiti al processo da
cui si evincerebbe l'evocata consuetudine.
Peraltro, trattandosi di censure alla ricostruzione dei fatti di causa accolta dal decidente, il malgoverno
del materiale istruttorie che l'avrebbe originata andava denunciato in chiave di vizio motivazionale.
7 Le deduzioni in ordine alla valutazione della dichiarazione scritta rilasciata dall'Istituto di credito,
pretesamente idonee a escludere la colpa del debitore per i ritardi nell'adempimento dell'obbligazione,
sono poi gravemente carenti sul piano dell'autosufficienza, perché il contenuto della stessa - che pure
risulta prodotta unitamente al ricorso - non è stato riportato nell'atto di impugnazione, laddove le sezioni
unite di questa Corte, pur avendo chiarito che l'onere del ricorrente, di cui all'art. 369, secondo comma, n.
4, cod. proc. civ., così come modificato dall'art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di
improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il
ricorso si fonda" è soddisfatto, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, mediante
la produzione dello stesso, e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il
deposito della richiesta di trasmissione, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la
sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell'art. 369, terzo comma, cod.
proc. civ., hanno tuttavia precisato che resta ferma, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a
pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., del contenuto degli atti e dei documenti sui quali
il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari al loro reperimento (confr. Cass. civ. 3 novembre 2011, n.
22726).
8 Va pertanto qui ribadita la piena operatività del principio, centrale nell'iter argomentativo della
sentenza impugnata, per cui la tolleranza del locatore, in ordine al pagamento del canone, anziché presso
il proprio domicilio in moneta avente corso legale, a mezzo bonifico o accredito in conto corrente
bancario, non implica, salvo prova contraria a carico del conduttore, anche la tolleranza circa la
disponibilità della somma dovutagli oltre il termine pattuito per il versamento del canone, di modo che
laddove, come nella fattispecie, quella prova contraria non sia stata fornita, il solvens assume i rischi di
eventuali ritardi o disguidi derivanti dal ricorso al servizio bancario (confr. Cass. civ. sez. un. 28 dicembre
1990, n. 12210; Cass. civ. 21 aprile 2006, n. 9370).
10 Infine non è attinto da alcuna censura il rilievo della Corte territoriale secondo cui anche i pagamenti
successivi a quelli posti a base dell'intimazione di sfratto erano avvenuti in ritardo, il che confermava il
disinteresse della parte per il rispetto delle pattuizioni contrattuali.
Trattasi di affermazione in linea con la giurisprudenza di questa Corte, alla quale il collegio intende dare
continuità, secondo cui, mentre l'adempimento della propria obbligazione, da parte del conduttore in
mora di un immobile ad uso non abitativo dopo che il locatore abbia domandato la risoluzione del
contratto, non può essere tenuto in considerazione al fine di stabilire se l'inadempimento integri il
requisito della gravità, di cui all'art. 1455 cod. civ., all'opposto, la circostanza che l'inadempimento del
conduttore, non grave al momento della domanda di risoluzione proposta dal locatore, si aggravi in corso
di causa, è rilevante ai fini dell'accoglimento della stessa (confr. Cass. civ. 26 ottobre 2012, n. 18500). Ne
consegue che il silenzio serbato sul punto nei motivi di censura (che ulteriormente evidenzia
l'insufficienza dell'approccio dell'impugnante con le questioni sottese alla presente controversia),
comporta l'intangibilità delle argomentazioni svolte a sostegno di tale profilo del convincimento del
decidente.
Il ricorso è respinto.
Le spese seguono la soccombenza.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 gennaio – 20 aprile 2015, n. 8002

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